Testimonianze
Testimonianze
A distanza di tempo posso dire che ripensandoci, il community center sembra quasi una dimensione parallela. Un po’ Grecia, un po’ Afghanistan, un po’ Italia, Iran, Congo, Iraq, Kurdistan e così via. Un luogo in cui esperienze, lingue, culture, religioni e territori hanno modo di fondersi in maniera molto più spontanea di quanto potessi immaginare. Un’opportunità fantastica sia per noi volontari che per i residenti del campo. Campo che è invece la negazione di tutto questo. Un luogo isolato fuori dallo spazio e, soprattutto, dal tempo, dove i richiedenti asilo sono dimenticati in un’attesa perenne di risposte che non arrivano.
Sono un’insegnante. E per me la scuola è sempre stata militanza. Storia, Filosofia… non sono mai state e non potranno mai essere solo materie teoriche. Si vivono sul campo, in aperta e continua sfida di fronte alla complessità che tutto attraversa ed accompagna. Il 2 gennaio ho assistito a una lezione di tedesco con un piccolo gruppo di giovani donne afghane, una delle quali con il figlio molto piccolo. Non volevano rinunciare alla lezione, avevano gli occhi attenti, vivi e accesi, desiderosi di non perdersi nemmeno un minuto. In quel momento ho capito in modo fulminante che cosa sono la dignità, la resistenza, l’attaccamento alla vita e al futuro. Ho detto loro che mi stavano insegnando la speranza e che avrei sempre parlato di quella mattina ai miei alunni. E’ un momento che non dimenticherò mai.
Ho sempre pensato che il volontariato sia un positivo atto di egoismo. Ci impegniamo con gli altri per fare del bene a noi stessi. Da volontaria e lavorando quotidianamente con volontari in Germania mi trovo sempre a fare questo tipo di esperienza. Durante le mie due settimane di volontariato a Corinto, invece, ho conosciuto un altro tipo di volontariato. Nel team c’era una positività e voglia di fare unica e genuina. Nessuno aveva bisogno di mostrarsi, si faceva e basta senza il bisogno di chiedere qualcosa in cambio. Penso che questa sia stata l’esperienza più bella. Ho conosciuto ragazze e ragazzi speciali che, nonostante le giornate roventi e le diverse difficoltà legate al fatto di non poter operare nel campo di Corinto, con parsimonia e dedizione svolgevano un lavoro stupendo.
Hello Doctor! Mi avete aperto i vostri caravan e mi avete accolto nelle vostre tende, a volte per disinfettare una ferita trascurata, a volte per capire il perché di una febbre che non scendeva, a volte per assaggiare una pita appena preparata. Lì ho imparato la delicatezza dei gesti e il conforto delle parole. Nei giorni al campo ho conosciuto la dignità e il rispetto per la vita e per la libertà, e me ne sono innamorata.
I have yet to process how much I learned with this experience, from the actions and decisions we faced everyday as a team to the richness of the encounters with everyone we worked with. Even though the feeling at the end of the work day is many times one of powerlessness and even failure, it’s the tiny battles won with a smile, a laugh or a simple ‘thank you’ that fuel the team to go on. One NGO can’t change lives, not even one, but as tiny drops of water make the ocean, so do these tiny wins make up for long term change.
Non sono né romantico e né troppo sentimentale. Però c’è stato un giorno, circa una settimana prima di partire, in cui accompagnai i ragazzi del campo alla sport class. Una classe di sport creata da me e da M., un ragazzo residente nel campo di 40 anni (c.a.), ex pugile ed ex istruttore di boxe conosciuto al centro. Creai questa classe a Febbraio, e la prima lezione ricordo che eravamo in 4, di cui due volontari. Due mesi dopo eravamo in 14. Quel giorno, prima di partire coach M. mi ringraziò per quanto avevo fatto. Risposi che in realtà non avevo fatto letteralmente nulla, l’unico merito che mi riconosco è quello di esserci stato. Grazie a coach M. e agli altri volontari venuti dopo di me, la sport class continua ad andare avanti e sono molto felice per questo.